La notizia aveva attraversato la piccola comunità come un fulmine che, in una giornata di sole e senza alcuna
avvisaglia, scaturisca dal cielo limpido e si abbatta violento nel bel mezzo di
un giardino fiorito. Nei giorni di forzata inattività, a cui lo costringevano
le insolite circostanze, lord Asterion si rese conto di come il senso comune della
gente del posto non avesse tardato ad individuare nella sua presenza, in quanto
eccentrico forestiero, la causa finale della vergogna che aveva colpito tutti
loro. L’increscioso evento, incrinando la stabilità della famiglia aristocratica,
aveva infatti, per ineluttabile assioma e atavico ordinamento delle cose, minato
alla radice l’equilibrio dell’intera comunità.
Come ebbe modo di realizzare, girando per il paese, dai
brandelli di conversazione che sfuggivano alla ritrosia dei paesani, il
gentiluomo venuto dal Sud era già stato identificato come foriero di sventura
prima del suo arrivo. Il suo incarico presupponeva l’intenzione di mutare il paradigma di una
cultura che da secoli affondava le proprie radici in un abisso di consuetudini,
il cui unico fine era quello di preservarsi immutata, garantendo l’assenza di
ogni cambiamento.
Insegnare all’unica figlia di Lord Tompstone a ragionare
come un uomo, ad abbracciare la fede della ragione, abiurando i dogmi della
consuetudine e della tradizione, era più di un gesto sconveniente:
rappresentava un sanguinoso insulto. Da lì, il popolino era giunto subito a
pensare che ciò che era accaduto alla famiglia nobile fosse una solenne
punizione divina, diretta conseguenza di quell’azione immorale, e che a farne
le spese sarebbero stati comunque tutti
loro.
Tutto ciò non veniva esplicitato a parole, ma era chiaro nei
gesti, nei sottintesi, negli sguardi, persino nell’atmosfera e nei suoni della
vita quotidiana che circondavano Lord Asterion quando si recava al villaggio di
Teviothead, in quei primi giorni di solitudine e attesa. Il suo ospite,
confermando le indiscrezioni della cognata relative al carattere schivo e
ritroso, non si era praticamente mai fermato a rivolgergli parola, dopo la
prima volta in cui si erano incontrati nel cortile della dimora. Procurava che
non gli mancasse niente, e gli faceva giungere, tramite i propri domestici,
continui rinvii del momento in cui si sarebbero trovati per discutere della
situazione: chiuso nelle sue stanze, era impegnato giorno e notte nel
coordinare, insieme a buona parte dei propri familiari, le ricerche di sua figlia, scomparsa da oltre
una settimana.
Ad Asterion non rimaneva che osservare il corso degli
eventi, fingendo di non comprendere le manifestazioni di ostilità e timore che
i paesani gli riservavano quando si
recava al villaggio. Con l'inoltrarsi dell'autunno tuttavia il nobile trovò
sempre più conveniente trascorrere le giornate alla villa, in compagnia dei
libri che aveva portato e di quelli, molto più numerosi, che il suo anfitrione
gli aveva messo a disposizione. Il poco tempo che non dedicava alla lettura, lo
passava in con la sorella del padrone di casa e sua figlia Rebecca, le uniche
persone che soggiornavano stabilmente nella dimora oltre ai domestici e ai due
nobili. Dalle chiacchiere della servitù, della quale era un attento
osservatore, aveva appreso come la raggazza, ormai prossima ai venticinque
anni, fosse l'unica figlia della donna, rimasta vedova poco dopo la nascita
della bambina. L'uomo che l'aveva amata, senza mai sposarla, era morto in
circostanze non chiarite; emarginate dalla comunità, le due donne erano state
accolte da Lord Tompstone sotto le pressioni della moglie. Quando lei era
mancata, il vecchio gentiluomo non aveva avuto cuore di cacciare via quelle
disperate, anche se la presenza della cognata e della nipote sembravano
generare in lui una continua irritazione.
Poco prima dell'inizio dell'inverno, le ricerche della
ragazza cessarono del tutto: nemmeno a quel punto per Lord Asterion fu
possibile discutere della possibilità di essere sciolto dal proprio impegno di
precettore. D'altronde, con la neve che aveva già cominciato a cadere copiosa,
i valichi di montagna erano quasi tutti impraticabili; inoltre, il suo
programma di restare a Teviothead per almeno due anni aveva il vantaggio di
consentirgli di dedicare molto tempo alla stesura di un’opera didattica, alla
quale, libero dalle incombenze originariamente pattuite, stava lavorando con
grande profitto.
In quel periodo il
padre della giovane scomparsa, privato anche dell'illusione della speranza,
aveva preso a girovagare nervosamente per casa, interferendo con le faccende
dei domestici e rimproverando tutti per ogni inezia che riteneva di dover
corregge. Il suo atteggiamento indisponente e autoritario infastidiva non poco
Rebecca, che ricambiava la scarsa considerazione dello zio nei suoi confronti
con un malcelato livore: la ragazza, sebbene non fosse particolarmente
attraente e in alcun modo interessante, aveva una forte personalità e ambiva ad
una maggiore libertà personale; non perdeva occasione per manifestare la sua
insofferenza verso le rigide regole di casa Tompstone, relative
all'abbigliamento, agli orari per i pasti, al modo in cui ci si doveva
comportare con gli ospiti. Avrebbe desiderato inoltre recarsi liberamente al
villaggio, senza la necessità di essere costantemente accompagnata da uno dei
servi o da sua madre, non appena metteva il naso fuori dal cancello della
villa.
Le festività di Natale giunsero rapide, come le nuvole scure
che si addensavano senza preavviso sulla brughiera e, altrettanto silenziose, trascorsero
in un’atmosfera ovattata e tetra. I pochi parenti che usualmente convenivano
alla villa per la Vigilia, per ossequio alla tradizione più che per il
desiderio di vedere il burbero capofamiglia, parteciparono alla cena con
malcelato disagio. Il banchetto, composto di cibi raffinati e in quantità
luculliane, si svolse quasi tutto in silenzio, con i commensali incerti sugli
argomenti da affrontare in quei particolari frangenti. La conversazione languiva
e né l’anfitrione, che ne aveva il dovere, né la madre di Rebecca, alla quale
tutti ne riconoscevano il diritto, compivano alcuno sforzo per rianimarla.
Su ogni parola, ogni gesto, persino gli sguardi, la cappa
oscura del mistero che avvolgeva la sorte di Miss Tompstone pesava come un
vecchio e logoro sudario.
La fine dell’anno, non portò con sé alcuna novità. Una sera,
all’inizio di gennaio, il vecchio era particolarmente irascibile: mentre fuori
dalla finestra il nevischio si addensava in fiocchi via via più densi e
vorticosi, Rebecca si lasciò sfuggire un commento su quanto fossero noiose e
insulse, le serate d'inverno, da trascorrere barricata in casa, senza la
compagnia di ospiti interessanti. Asterion, pur cogliendo la pungente allusione
che lo riguardava, non ribatté, considerando la frase della giovane come lo
sfogo di un temperamento volitivo ed ancora infantile; ma lord Tompston non era
intenzionato a lasciar correre. Batté il palmo della mano sul bracciolo della
poltrona, facendo sobbalzare la cognata, che si era quasi appisolata davanti al
fuoco, e ad alta voce rimproverò Rebecca.
- Non tollero che si manchi di rispetto in questo modo alla
mia casa e ai miei ospiti! - le gridò contro, alzandosi in piedi e
avvicinandosi alla ragazza.
- Per carità, Milord, - intervenne Asterion - sono certo che
sua nipote non intendeva...
- Lasci, caro Asterion, la prego: ammiro il suo buon cuore,
ma questa ragazzina sta passando ogni limite, ultimamente!
- Non sono una ragazzina, zio! - replicò l'interessata, con
fare strafottente. - E non ho intenzione di ritrattare quello che ho detto: in
questa casa ci si annoia terribilmente, sembra sempre che sia morto qualcuno!
Lo schiocco secco dello schiaffo fece sobbalzare Lord
Asterion: sebbene l'osservazione fosse sconveniente e del tutto priva di
riguardo verso lo zio e la cugina, ormai data per dispersa, non si era
aspettato una reazione così violenta. Anche Rebecca, che con una mano si
copriva il viso nel punto in cui era stata colpita, aveva un'espressione
incredula, e faticava a trattenere lacrime di rabbia e umiliazione.
- Urgono provvedimenti, - stava dicendo Tompstone nel
frattempo - per l'educazione di questa fanciulla. Non è tollerabile che una
piccola bastarda, accolta per carità in seno alla famiglia, si comporti in modo
da farmi vergognare del mio nome.
Mentre pronunciava quelle parole piene di disprezzo,
guardava fissa negli occhi la cognata, che era avvampata fino alla radice del
collo, mordendosi le labbra, ma non aveva detto niente. Rebecca si era alzata,
livida e con gli occhi gonfi di lacrime, ed era uscita dalla stanza, senza
aggiungere una parola. Il vecchio, completamente indifferente al gesto plateale
della nipote, si rivolse al precettore,
che seguiva l'alterco sforzandosi di mantenere un'espressione di educata
circostanza.
- Voi, Lord Asterion, sareste disponibile a tentare
l'impresa di ricavare, da questa selvaggia, una signorina di rango? In fondo,
la trasmissione della cultura era lo scopo principale della vostra permanenza qui
a Teviothead, e quest’incombenza è del tutto rispondente a quanto avevamo
pattuito, e per cui vi eravate impegnato.
L’insegnante, del tutto disorientato da quel repentino
risveglio dell’iniziativa del suo ospite, che comportava un totale
stravolgimento della sua comoda situazione, non poté tuttavia opporre alla
richiesta alcun pretesto ragionevole, se non quello delle rimostranze che
avrebbe fatto la ragazza, dalla quale sarebbe stato oltremodo difficile ottenere
la necessaria collaborazione. Ma lo zio di Rebecca si mostrò, oltre che
irremovibile nel suo proposito, del tutto convinto che la fanciulla si sarebbe
sottoposta di buon grado alle lezioni.
- Il profitto che ne ricaverà, - aggiunse rivolto alla
cognata – condizionerà l’appartenenza di Rebecca a questa famiglia, nonché il
cospicuo sussidio che consente a voi e a mia nipote di mantenere un tenore di
vita e una posizione sociale ben superiori al vostro livello.
Di nuovo, la donna non proferì verbo, limitandosi a fissare
l’uomo con le labbra serrate, lo sguardo carico di un odio intenso, così
radicato nel proprio animo da assomigliare ad un gelido macigno, una pietra
tombale sotto la quale era sepolta ogni speranza di riconciliazione.
- Disporrò perché la prima delle vostre lezioni abbia luogo
fra due giorni. – soggiunse lui, già sulla porta, prima di augurare ad entrambi
buonanotte ed abbandonare la sala.
Per alcuni minuti, Asterion rimase seduto in silenzio,
impedendo al suo sguardo di incontrare quello della donna, anch’essa muta; malgrado
la questione non lo riguardasse, se non per il risvolto che avrebbe avuto sulla
propria vita alla villa, era rimasto turbato dall’improvviso palesarsi di quel
disprezzo antico, fino a quel momento abilmente velato dalla scenografia di un
ménage domestico sereno. Quando lei si
alzò, circondandosi del lieve fruscio della veste da sera, il suo viso mostrava
i segni di un dolore profondo, portato con immensa dignità.
- Una madre sopporta qualunque cosa per il bene dei propri
figli, milord. – gli disse, sostenendo il suo sguardo carico di commiserazione.
Poi, gli occhi della donna parvero brillare di una luce nuova, nella quale
Asterion riconobbe lo scintillio malvagio che gli sembrava di avervi scorto, la
sera del giorno in cui Miss Tompstone era scomparsa, e aggiunse: - Qualunque
cosa. Fin quando tutto questo è necessario.
Lord Asterion riposò assai male quella notte.
Come aveva assicurato, l’anziano aristocratico fu in grado
di ottenere la piena collaborazione di Miss Rebecca, facendo in modo che la
fanciulla si presentasse puntuale alla sua prima lezione, che avrebbe dovuto
tenersi in un angolo del salone grande, alla presenza della madre. Lord
Asterion, in quella fredda mattinata il cui cielo sembrava sottratto al più
rigido dei giorni polari, era sceso anzitempo e, consumata una frugale
colazione, si era sistemato dal suo lato dello scrittoio, ripassando gli appunti
e preparando i testi che intendeva seguire per quella introduzione.
Quando Rebecca, dopo i convenevoli che le spettavano, si fu
accomodata davanti a lui, il maestro iniziò a riferirle quanto aveva preparato per
quel momento, cercando di non far trasparire, né con le parole né con l’atteggiamento,
che l’introduzione e l’intero ciclo di studi erano stati pensati per un’altra allieva,
che adesso giaceva chissà dove, quasi certamente senza vita, fra i boschi del
sud della Scozia.
Quanto alla discente, se ne stava seduta con l’aria
concentrata e sottomessa, il busto eretto, le mani intrecciate in grembo, fra
le pieghe della lunga veste bianca, e la bocca chiusa. Soltanto gli occhi, nei
loro guizzi indagatori, tradivano la rabbia violenta che stava tenendo a bada,
la voglia selvaggia di rovesciare quello scrittoio, strappare la lingua
saccente di quell’uomo insulso e pedante, e darsela a gambe, allontanandosi per
sempre dalle umiliazioni di quella vita di agi e supplizi.
Mentre Asterion elencava il programma degli argomenti che si
proponeva di affrontare, il suo sguardo finiva per incrociare fatalmente quello
della giovane, facendogli percepire qualcosa di quell’ambiguità, come una forza
dirompente, trattenuta a stento, che prima o poi sarebbe esplosa con la
violenza di un fiume in piena che si abbatte contro una diga.
- Le è tutto chiaro, Miss Rebecca? – domandò dopo un po’,
non perché avesse dubbi sul fatto di esser stato compreso, ma per spezzare
quella tensione innaturale che si era andata accumulando con il passare dei
minuti.
- Perfettamente. – rispose lei, senza fissarlo in viso.
- Può guardarmi in faccia, mentre parliamo, Miss Rebecca?
Lei lo fece, in modo tale che lui si pentì di averle mosso
quella puntualizzazione. Trattenendo un brivido, ringraziò la sua allieva per
l’attenzione ed iniziò ad illustrarle i testi di antologia classica che avrebbe
dovuto leggere per il giorno successivo, così da poterli commentare insieme.
Erano passate da poco le undici, quando la ragazza fu
congedata e Lord Asterion si trovò con il resto della giornata libera, senza
alcuna idea di come impiegarla. Troppo turbato per lavorare al proprio libro, l’insegnante
approfittò di un modesto miglioramento del tempo per passeggiare nel parco
della tenuta, in cerca della quiete necessaria per mettere ordine nei propri
pensieri. Oltrepassò ben presto i confini del giardino, inoltrandosi fra i
vialetti ben curati che conducevano all’ampia estensione di terreno di
proprietà della famiglia: una serie di campi erbosi, buoni per il pascolo, ma
che venivano lasciati incolti da decenni ed erano ormai ridotti in buona parte
ad una selvaggia sterpaia. Un’intricata rete di viottoli, per lo più tracce che
gli animali utilizzavano per spostarsi in cerca di cibo, attraversava i
cespugli e la fitta selva di erbacce con un dedalo dove, per chi non conoscesse
perfettamente i paraggi, era facile perdere l’orientamento.
Quando un brontolio lontano, ma minaccioso e duraturo,
strappò il giovane aristocratico dalle sue riflessioni, questi si accorse subito
di essersi allontanato in maniera considerevole dalla casa: si fermò per
guardarsi attorno, realizzando di non aver prestato la minima attenzione alla
direzione dei suoi passi, e che adesso, in quell’orizzonte ristretto di bassi
alberi scheletrici e rovi aggrovigliati, non aveva idea di quale fosse la
direzione da prendere per raggiungere la villa. Le prime gocce caddero con il
rumore scrosciante di un torrente in piena: il muro di pioggia si infittì in
pochi istanti, riducendo la visibilità a qualche metro e infradiciando subito i
vestiti dell’uomo, del tutto impreparato ad affrontare un temporale di quella
violenza.
Nessuno degli alberelli nei dintorni era in grado di fornire
un qualche riparo e Lord Asterion si rassegnò a ripercorrere in linea retta la
strada alle sue spalle, sperando che il tentativo finisse per condurlo verso una
qualunque abitazione. Camminò spedito per molti minuti, durante i quali la
furia del maltempo non accennò a scemare, andando anzi ad incrementarsi, fino
ad assumere le caratteristiche di una vera e propria tempesta. La visibilità
inoltre si era progressivamente ridotta, segno che il precoce crepuscolo
invernale doveva essere oramai imminente: ma il livido manto di nubi nerastre
non offriva alcun indizio utile per indovinare la posizione del sole al di
sopra di esso.
Quando giunse in prossimità di una vecchia torre, il
malcapitato viandante se ne accorse dal riverbero di un fulmine, che cadendo
non lontano aveva illuminato un largo tratto di campagna. Nei pochi istanti in
cui la scarica atmosferica l’aveva resa visibile, la struttura era apparsa come
un rudere, privo di buona parte della sommità, ma abbastanza conservato per
sperare di riceverne una qualche forma di ricovero. La pioggia ora sembrava
essersi diradata, come se la tempesta, superato il suo acme, fosse intenzionata
a proseguire il suo corso ad un regime più mite, ma sempre intenso. Lord
Asterion poté scorgere una stradicciola infangata, tutta curve e avvallamenti,
dove alla fioca luce crepuscolare luccicavano le pozzanghere. Si incamminò alla
massima velocità possibile in quelle circostanze, sollevano larghi spruzzi e
infradiciandosi ancora di più, se possibile, i vestiti, ormai intrisi di acqua
e fango.
Raggiunse correndo il muro della torre e posò una mano sulle
antiche pietre, che numerosi rivoli di pioggia rendevano viscide e gelide: nell’istante
in cui toccò la torre, la pioggia cessò del tutto e alle spalle dell’uomo
iniziò a soffiare un freddo vento impetuoso. Curvandosi per sottrarsi alla
furia delle raffiche, non vide la mano se non all’ultimo istante, quando era
ormai a pochi passi dalla sua gola, cogliendo un guizzo con la coda dell’occhio.
Si voltò, trovandosi
a fissare a pochi palmi dal suo il volto incolore della ragazza che aveva visto
nel bosco, il giorno precedente al suo arrivo a villa Tompston. Come l’altra
volta, teneva gli occhi chiusi, e la sottile linea delle labbra, anch’esse di
un mortale pallore, era serrata in una smorfia cattiva.
Asterion cacciò un urlo acuto, allontanandosi all’indietro,
e scivolò sul fango alle sue spalle, rovinando su un mucchio di pietre con un
colpo violento: l’urto gli annebbiò la vista, rendendogli difficile
concentrarsi sull’apparizione. Questa, nel momento in cui aveva urlato, si era
fatta indietro, ma ora si stava avvicinando di nuovo, agitando convulsamente le
mani nell’aria, come se cercasse di indovinare in quel modo la posizione esatta
della sua vittima. Con un sussulto di lucidità, che lo soccorse quando era
ormai sull’orlo del panico, il gentiluomo si rese conto che la sinistra figura
si affidava ai rumori, muovendosi come se fosse immersa nelle tenebre, tenendo
ancora gli occhi serrati.
È cieca – pensò Asterion,
mentre rotolava nel fango, cercando di muoversi senza produrre suoni, per
allontanarsi lateralmente. Lo stratagemma sembrò funzionare: strisciando con
ogni cautela, approfittando del rumore dell’acqua che ancora sgocciolava dalle
pietre, il nobile continuò ad allontanarsi. Dalla sua posizione, a terra e a
pochi passi dalla donna, pur nella luce incerta riusciva a scorgere ogni
dettaglio della sua veste, candida e leggera, che le si avvolgeva, inzuppata di
pioggia, intorno al corpo esile, mettendone in risalto le inconfondibili forme
muliebri. Pur nella terribile situazione, l’uomo non poté fare a meno di
osservare la desiderabile curva dei fianchi e del seno della fanciulla, che
doveva essere molto giovane. Ritenendo di essersi allontanato a sufficienza,
azzardò di mettersi seduto e poi, gradualmente, si sollevò in piedi. La figura,
che ora gli dava le spalle, continuava a vagare a pochi passi da lui, tendendo
l’orecchio in cerca di un segno della propria preda. Lui arretrava, un passo
dietro l’altro, finché urtò con il calcagno una catasta di pietre, provocandone
la caduta. Immediatamente la dama incolore si voltò nella sua direzione, lo
fissò con i suoi occhi chiusi ed iniziò a correre verso di lui, emettendo nel contempo un urlo acuto e
selvaggio con la bocca spalancata.
Incapace di sopportare oltre, la mente del nobile fu preda
del terrore più completo, e l’uomo si lanciò una fuga disordinata, correndo a
capofitto in mezzo al fango e ai detriti. Inciampando e cadendo, coperto di terra
e di graffi, continuò a scappare per un tempo indefinito, che lo portò, a notte
fonda, in vista della casa di uno dei contadini che vivevano ai confini della
proprietà dei Tompstone. Lord Asterion, nella sua follia, sbatté violentemente contro
la parete di una piccola rimessa, piena di attrezzi, e stramazzò al suolo. Come
avrebbe raccontato più tardi, il contadino accorse subito, allarmato dal
frastuono, e trovò il giovane riverso nel fango, che scalciava e ansimava come
se tutto quello che riuscisse a fare fosse continuare a correre.
Quando cercò di afferrarlo, Asterion iniziò a gridare,
dimenandosi con violenza, finché l’altro, temendo che potesse ferirsi, non gli
affibbiò un violento pungo sulla nuca, gettandolo in un sonno misericordioso e
profondo.
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