Il rettangolo di cielo che apparteneva all’altro mondo si
trovava in alto, vicino allo zenit. Bisognava guardare fra la vecchia torre
mezza diroccata del castello e il bordo aguzzo del campanile della cattedrale,
stando con il naso per aria, quasi in verticale. Poiché il buio cadeva sempre alla stessa ora
da entrambe le parti, era molto difficile individuarlo senza i giusti
riferimenti, specialmente se il tempo era sereno sia di qua che di là.
Gli abitanti del borgo si erano abituati e si divertivano ad
occhieggiare i forestieri, fermi in mezzo alla via, che si torcevano il collo
fino a farsi male, strizzando inutilmente gli occhi; ridevano dei loro sguardi confusi,
finché i turisti, delusi e irritati, erano sul punto di andarsene; allora gli
esperti locali si avvicinavano e fornivano le giuste indicazioni. Spiegavano
che si doveva seguire il moto di una nuvola, o il volo di un uccello, finché
questi, passando davanti al cielo dell’altro mondo, non scomparivano alla
vista, per riapparire sul bordo opposto di quella finestra incantata. Dopo, sorridevano
compiaciuti alle espressioni di meraviglia che si diffondevano tutto intorno, e
stavano lì sornioni, ad aspettare il compenso per l’aiuto fornito.
Ma i primi tempi, quando senza preavviso era iniziato quello
straordinario fenomeno, la gente aveva terrore ad uscire di casa; tutti
evitavano di guardare l’inquietante spaccatura nella volta celeste, dove le
nuvole si rifiutavano di addensarsi quando tutt’intorno stava piovendo; oppure,
al contrario, vi imperversavano fulmini e
nembi scuri nel bel mezzo di una splendida giornata estiva. Gradualmente
poi la novità era stata considerata con più curiosità e minor timore: i
cittadini si soffermavano volentieri ad ammirare il ritaglio di uno splendido
tramonto che si stagliava sullo sfondo di un orizzonte livido e cupo, donando grazia
ed eleganza ad una giornata altrimenti bigia.