“Voi siete ciò che è il
vostro desiderio più profondo. Così come è il vostro desiderio, così è la
vostra intenzione. Così come è la vostra intenzione, così è la vostra volontà.
Così come è la vostra volontà, così sono le vostre azioni. Così come sono le
vostre azioni, così è il vostro destino”
Regina Buenaccorso Ferreira camminava a fianco del marito,
stringendogli entrambe le mani ossute attorno al braccio grassoccio; per farlo,
inclinava il busto sottile e la testa verso il corpo di lui, avanzando con
passo sbilanciato e incerto. Agli occhi della folla che la osservava procedere per
la strada principale del paese, in fila con le altre coppie di prescelti, quella
donna emaciata dal viso livido sembrava attirata da una sorta di forza
gravitazionale verso il corpo del coniuge, alto poco più di lei, ma dotato di
corporatura robusta e di ben altra stazza.
Il signor Ferreira marciava fiero, con il petto gonfio e spinto
all’infuori, nel tentativo di far apparire il torace più prominente dell’addome.
Si trascinava la consorte al fianco, come se fosse stata una sacca da viaggio,
tenuta sportivamente per un solo spallaccio. Teneva lo sguardo dritto, seguendo
la prospettiva della strada, ma di tanto in tanto occhieggiava la folla che si
era radunata nel breve tragitto fra la piazza dell’adunanza e il vecchio porto,
dove era stata preparato lo spazio necessario per l’atterraggio della navetta.
Nei volti dei suoi concittadini leggeva un misto di disprezzo e invidia, che lo
faceva sentire ancor più fiero di sé stesso.
C’era una cosa che rendeva diversi il signor Ferreira e gli
altri cinque capofamiglia che lo precedevano in quell’improvvisata processione:
loro avevano avuto il coraggio di comprare un biglietto per Devaloka. Si erano
indebitati, sottoponendo i loro cari alle dure condizioni del contratto di
finanziamento. Di alcuni di loro – come i Madeiro, che li precedevano nella
fila – si diceva che avessero accettato di vendere all’Agenzia del Lavoro Continuativo
i propri figli, rendendoli schiavi a vita. Su altri, l’invidia rabbiosa dei popolani
aveva concepito storie anche più inverosimili.
La verità era che loro l’avevano fatto, e gli altri no. Avevano
scelto di rischiare, consapevoli che i loro sacrifici sarebbero stati soggetti
al capriccio del destino: dei due milioni di biglietti venduti, dagli angoli
più remoti delle Province terrestri all’ultima, sperduta colonia esterna, soltanto
mille erano le coppie sorteggiate per il viaggio.
Il prezzo astronomico e le basse probabilità di vittoria
scoraggiavano chi non aveva abbastanza determinazione per scegliersi il proprio
destino giocando tutte le fiches in
un solo giro alla roulette delle stelle: in tutta Buenos Aires, non erano stati
acquistati più di cinquemila biglietti. E alla fine, erano stati sorteggiati
loro sei: tutte famiglie agiate, della buona borghesia.
“La crema della nostra società” pensò Sergio Ferreira,
orgoglioso. “I più forti sopravvivono sempre”.
Il pensiero lo indusse a voltarsi verso sua moglie. Si disse
che, nonostante l’aspetto pallido e l’estrema magrezza, Regina rimaneva una gran
bella ragazza, determinata e combattiva: non aveva ancora trent’anni, era
sempre stata sana, e avrebbe superato a meraviglia quella cosa, come la chiamava lei. La cosa che lui le aveva fatto
fare, per pagare i biglietti. Quando la donna vacillò, incespicando su un lieve
avvallamento del selciato, lui la sostenne con un deciso strattone.
- Su, coraggio! – sibilò, senza voltare la testa, mantenendo
la sua espressione fiera. – Non possiamo mostrarci indecisi davanti ai popolani.
– Poi, con tono più mite, aggiunse: - Appena a bordo ti sentirai meglio.
***
Una piccola pausa nel
turno. Attendo che l’altra squadra finisca il test di pressurizzazione al generatore
ausiliario di atmosfera. Mentre i miei compagni si avvelenano con le radiazioni,
che filtrano dalle schermature ormai logore, dall’alto della Caverna guardo
questa folla, inconsapevole e muta, che freme di eccitazione e di vana speranza.
I sogni che scintillano nei loro occhi impediscono loro di vedere anche quei
modesti barlumi di verità che occhieggiano, dispettosi, dietro la pomposa
scenografia. Come ogni cosa, in questo vecchio circo errante, anche il
proscenio di questa truffa colossale cade a pezzi: si sfaldano le paratie dello
scafo, cedono i sistemi ausiliari, si bruciano e muoiono in silenzio le unità
del cielo artificiale spegnendosi come piccole stelle. Ma nessuno riesce a
vedere oltre il velo di un’illusione, comprata al prezzo mostruoso della
propria anima.
Viene Robson, devo
chiudere. Ricomincia la farsa.
***
Le scintille cadevano dal cielo in un turbinio lieve. La
luce sfrigolante illuminava di bagliori ampi pennacchi di fumo che da lì, dove un
vecchio proiettore stava fondendo, si innalzavano verso la volta stellata come
nuvole nella notte artificiale.
Gli eletti erano tutti con il viso rivolto verso l’alto.
Molte coppie si tenevano per mano, osservando il suggestivo spettacolo, e
percorrevano a passi lenti la spianata dove gli impeccabili steward e le
angeliche hostess della Compagnia li avevano sistemati all’arrivo, in attesa di
raggiungere le abitazioni assegnate. Una brezza lieve soffiava sull’erba
morbida e qualcuno si era sistemato per trascorrere la prima notte su Devaloka,
sdraiato per terra. Non avevano bagagli; non servono bagagli in paradiso.
Sergio Ferreira ascoltava preoccupato il respiro irregolare
della moglie, abbandonata sul prato con le braccia lungo i fianchi: ogni tanto,
un ansito più forte le scuoteva il petto, sollevando la veste leggera, dove le
costole segnavano il profilo del torace. L’uomo osservò i propri vicini, seduti
o distesi lungo i morbidi avvallamenti del grande giardino, sentendosi a
disagio. Quasi tutti erano ancora svegli, scrutavano il cielo punteggiato di
luci multicolori, indicando le sporadiche e suggestive cascate di scintille che
rischiaravano la notte. Tutte le coppie sembravano estasiate. Nel chiarore, i
loro volti apparivano immersi in una quieta beatitudine. Soltanto loro due,
pensò il signor Ferreira, con crescente irritazione, dovevano apparire stanchi
e provati dal viaggio. Non appena era calata la notte, sua moglie si era gettata
subito sull’erba, scomposta e del tutto indifferente alla suggestione di quel
momento irripetibile, dell’arrivo in paradiso. Innervosito, si rassegnò a
distendersi a sua volta, con gli occhi aperti verso quel cielo glorioso. Non si
sarebbe fatto rovinare quegli attimi di completo appagamento dalla meschinità
della donna che aveva sposato.
L’alba sorprese i nuovi arrivati immersi in un placido
riposo. Il nuovo giorno venne annunciato da una cacofonia di suoni melodiosi,
qualcosa di indistinto, un’alchimia sonora che univa il canto armonioso degli
uccelli al misterioso stormire delle fronde in un bosco ombroso. La luce,
vivace e cristallina, riempì il paesaggio in pochi istanti. Il cielo era una
distesa multiforme di colori: infinite varietà di azzurro, screziate da
sfumature di rosa e pervinca, che incorniciavano con deliziosi ghirigori gli
eleganti drappeggi delle nuvole bianche, facendone risaltare i contorni vivaci.
Quando gli attendenti li fecero mettere in cammino, per
condurre ciascuna coppia di eletti alla propria dimora, Sergio Ferreira notò
che nel cielo terso non era visibile il sole… eppure il suo splendore
irraggiava ogni angolo della volta celeste. Era giusto così, si disse, mentre
la marcia proseguiva fra campi ondulati e graziosi filari di alberi da frutto:
a cosa serve il sole, quando si è immersi nella luce del paradiso?
Proseguirono per alcune ore, seguendo il gruppo lungo
un’ampia strada di ghiaia bianca, immersa nel paesaggio agreste. Il clima mite
e la temperatura fresca dell’aria rendevano il cammino un esercizio gradevole e
corroborante; ad intervalli regolari, graziosi vialetti bordati da pietre rosa
si staccavano a perpendicolo dal sentiero principale. Le coppie di eletti
venivano via via indirizzate verso le proprie case, le cui facciate di pietra
chiara si intravedevano fra le fronde di rigogliosi giardini.
Finalmente, la voce vellutata di una delle hostess si
rivolse alla coppia, pregandola di seguirla lungo una delle diramazioni del sentiero.
Il signor Ferreira obbedì prontamente, ansioso di mostrare il proprio
entusiasmo, ma la donna incespicò, scivolando malamente a terra, dove rimase immobile
per lunghi istanti.
- Avete bisogno d’aiuto? – domandò la ragazza, con una nota
di apprensione che risaltò stridula e stonata.
- No, no – assicurò l’uomo, accorrendo al capezzale della
moglie, che stava cercando lentamente di sollevarsi sui gomiti. Lui l’afferrò
per un braccio, tirando con decisione e riportandola in piedi.
– Siamo quasi arrivati, un ultimo sforzo – le sibilò con
tono aspro. Poi si volse verso l’accompagnatrice, che appariva incerta sul da
farsi, e le rivolse un sorriso rassicurante. - È soltanto l’emozione di essere
finalmente a Devaloka.
Pochi minuti dopo, terminato un frettoloso giro di cortesia
all’interno della villetta, la giovane hostess si congedò dalla coppia,
pronunciando le frasi di rito con un impeccabile sorriso.
- Troverete abiti, cibo e oggetti personali già sistemati
nella casa: tutto è stato predisposto per assecondare ogni vostra esigenza e
garantirvi la piena felicità. Nessuna preoccupazione in paradiso.
Senza attendere risposta, lasciò i due coniugi immobili all’ingresso
dell’abitazione e uscì dal giardino. In fretta percorse a ritroso il sentiero, diretta
verso il piccolo aero-scooter di servizio che l’attendeva all’imboccatura dello
stradone; salì dietro al pilota, che la stava aspettando, e questi partì subito
verso il centro di controllo.
- Com’è andata? – domandò lui.
- Come al solito; a parte il fatto che la donna ha una
pessima cera.
- Credi che non ce la farà?
La giovane si strinse nelle spalle, ravvivandosi i lunghi
capelli corvini con un gesto di disinvolta noncuranza.
- Può darsi.
***
Detesto questo lavoro,
forse quanto le manutenzioni sulla cupola, chiuso nell’intercapedine fra il
cielo artificiale e la superficie di Devaloka, a soffocare in quelle tute
vecchie di trent’anni. Non riesco a decidere se sia peggio stare lassù, a farsi
arrostire dalle radiazioni, o sguazzare in questa melma infetta.
Di sicuro, i morti mi
fanno schifo: il centro di riciclaggio è senz’altro il posto più squallido di
questo inferno. Avrei potuto rifiutare l’incarico, ma scendere qua sotto è
l’unico modo che ho di avvicinarmi al tunnel di servizio del reattore. Devo solo
resistere finché capiterà l’occasione buona: la sorveglianza è scarsa, è solo
questione di tempo.
Il tempo, ecco il mio
problema: al momento di realizzare il mio piano, ne avrò pochissimo; ora,
invece, è difficile farlo passare. Vorrei pensare ad altro: ricordi felici,
pensieri allegri. Ma che gioia ci può essere nel liquefare i cadaveri per
riciclare le proteine necessarie al mantenimento della biosfera di Devaloka? Oh,
questo è soltanto uno, degli aspetti grotteschi del paradiso, e non il più
orrendo. La balla del mondo perfetto, dell’Eden ricostruito, nasconde segreti
ben più orribili.
Ecco che torna Robson,
devo…
***
- La birra fa sempre più schifo. Sembra di bere… ehi, Ted,
che stai facendo?
- Niente.
- Niente un cavolo: quello è un memocorder.
- Sì. Tengo un diario.
- Un diario? A che accidenti ti serve un diario, in questo
schifo?
- Per ricordarmi com’era. Non dimenticare.
- Tu sei matto. – Robson tracannò una lunga sorsata di birra
calda, poi si pulì la bocca dalla schiuma con il dorso della mano. – Io darei
la paga di due mesi per dimenticarmi di… questi! – L’ultima parola la pronunciò
mentre sferrava un calcio ad uno dei cadaveri. Il morto sussultò e le braccia
gli scivolarono lungo i fianchi, lasciando scoperto l’addome globoso.
- Lasciali stare, Robson. Hanno già subìto abbastanza.
L’altro fece un gesto di disprezzo con la mano.
- Sono solo dei ricchi coglioni, che hanno buttato nel cesso
tutto quello che avevano, per la loro ingordigia.
- Sono delle vittime, Robson: schiavizzati dalla menzogna del
paradiso artificiale, dove uomini e donne scelti dal destino possono vivere
lunghissimi anni di beatitudine spensierata. La maggior parte di loro non legge
nemmeno le poche informazioni che gli fornisce la Compagnia, quando comprano il
biglietto.
- Vittime? Questi sono dei criminali, amico. Hai idea di
cosa fanno, per venire qui? E non hanno nemmeno la scusa di essere dei
poveracci, che se uccidono e rubano lo fanno per la fame.
- Hai ragione. Ma molti degli eletti, in realtà, sono degli
emarginati: persone ricche, a volte influenti, ma così possedute dalla
necessità di raggiungere Devaloka da aver perduto ogni altro elemento di
contatto con le proprie vite. Per queste anime dannate che giungono in
paradiso, il desiderio è ossessione, la volontà una schiava, e il destino un
inferno.
- Stronzate filosofiche – ruttò Robson, dopo aver scolato
ciò che restava della birra. L’altro proseguì, ignorando il commento volgare.
- Ad aver bisogno di questo paradiso sono coloro che
trascorrono ogni giorno della loro vita a dominare sugli altri, avvelenandosi
con l’ossessione della supremazia, dello status sociale, dell’ostentazione
visibile del proprio benessere. I poveri hanno già il loro inferno, ed è
l’unica cosa che i ricchi gli invidiano: per questo si sforzano tanto di
cercarne uno, al prezzo delle più grandi sofferenze. La Compagnia l’ha capito
perfettamente: questa gente è in cerca di una crudele e costosissima illusione.
E loro gliel’hanno costruita.
- Bah. Secondo me, stai dicendo un mucchio di fesserie.
- Dici? Guarda questa donna, ad esempio: Regina Ferreira. –
Così dicendo, l’operaio sollevò per le braccia il cadavere di una ragazza, che
doveva essere stata giovane e bella, nonostante sul suo corpo, livido e nudo, fossero
ben visibili le impronte delle ossa.
- Non ci vuole un medico – continuò, voltando il cadavere su
un fianco – per scoprire la cicatrice del rene che si è fatta strappare,
vendendolo al mercato nero, per comprarsi i biglietti. La immagino sola,
tremante di dolore e terrorizzata, in uno scantinato umido trasformato in una
lercia sala operatoria; riesco quasi a sentire il suo pensiero, prima di essere
addormentata, rivolto alla speranza di raggiungere questo posto.
Fece una lunga pausa, poi aggiunse: - Tutto questo va
fermato.
Robson guardò in volto il compagno, osservandolo come se lo
vedesse per la prima volta. Nei suoi occhi si era acceso qualcosa, come il
riflesso di una consapevolezza sopita, sotto la corazza di qualunquismo e
indifferenza. Osservò i nanobot che decomponevano le salme, ripulendo lo
scheletro dalla carne con l’efficienza di uno sciame di formiche: un meccanismo
perfetto, grazie al quale la Compagnia non comprava quasi nulla del cibo
necessario per gli eletti, ma lo ricavava in buona parte direttamente dai loro corpi
morti, guadagnandoci due volte.
Disgustato, si rivolse di nuovo all’amico: - E cosa avresti
in mente?
***
Sergio Ferreira era in piedi al centro del giardino. Il
cielo arancio scuro era velato di porpora: strisciate dai toni lilla e verdi si
inseguivano all’orizzonte, in un caleidoscopio scintillante, come una piccola
aurora boreale. Il tramonto era quasi finito, e le prime luci-stella si
accendevano nel cielo. Anche oggi, notò l’uomo, alcune delle costellazioni
riprodotte nella volta non funzionavano, ed erano incomplete, monche. Un’altra
promessa tradita, rifletté, come tutto il resto. Il paradiso era una grassa
menzogna.
Un discreto colpo di tosse del funzionario della compagnia
lo distolse dalle sue riflessioni. Si voltò, guardando il viso inespressivo e
pallido dell’uomo. Questi portava un vestito chiaro, di taglio classico.
Sembrava di età indefinibile, come il colore dei suoi occhi. Decise di
affrontarlo con durezza.
- Avevate garantito assistenza medica. Mia moglie…
- Non avete fatto alcuna richiesta, né all’arrivo né al
momento della consegna della casa.
- Non sapevo che mia moglie stesse male – si giustificò
Ferreira, spiazzato dalla lucida freddezza del funzionario. – Non sono un
medico. Il contratto prevedeva un controllo sanitario…
- Solo in caso di patologie segnalate. Ho qui la scheda
sanitaria della signora Regina Buenaccorso Ferreira. – Un foglio lucido,
compilato con caratteri spigolosi, comparve nella mano dell’uomo, che lo scorse
brevemente con lo sguardo freddo. – Non vi sono indicate condizioni cliniche
rilevanti.
Sconfitto, l’altro chinò il capo. Poi lo sollevò di nuovo,
colpito da un pensiero improvviso.
- Dov’è? Voglio vederla.
- La signora è stata cremata.
- Come? Con quale autorizzazione?
- Non è necessaria l’autorizzazione: ogni decesso con causa sconosciuta
viene sottoposto a cremazione per ragioni sanitarie.
Sergio Ferreira guardava ancora l’orizzonte. Un sottile
velo, un accenno di lacrima, gli rendeva difficile distinguere il gioco di luci
del crepuscolo, ormai quasi del tutto esaurito. La vampa dell’esplosione
atomica, quando sorse, gli sembrò altrettanto sfumata, come una colossale
goccia di inchiostro giallo che si spargeva fulminea dentro l’acqua. Le fiamme
sgorgavano dal reattore sabotato e sorgevano dal terreno in una nuvola di
collera divina, d’oro e di fiamma, che spaccava il cielo e squarciava la terra.
Un attimo prima che l’onda d’urto lo travolgesse, mescolando i brandelli del
suo corpo con gli altri frammenti del satellite artificiale Devaloka, pensò che
finalmente stava guardando i colori del paradiso.
***
È stato facile:
nessuna sorveglianza, scarsa manutenzione, meccanismi di sicurezza dozzinale.
Si potrebbe dire che la Compagnia aveva già programmato la propria fine. Qui c’è
quiete e, forse, pace. La tenebra non è così fitta come pensavo: sono immerso
in una caligine lattescente, dai toni grigi. L’aria è fresca e c’è un buon
profumo.
Non ho paura. Attendo,
sereno, il giudizio: ho desiderato il bene, agendo secondo una retta
intenzione. Ho salvato molte più vite di quelle che ho preso; e attendo sereno
il mio destino.