Eppure mi ero davvero impegnato, per questo compito. Sono
sicuro di aver fatto tutto nel migliore dei modi e non mi meritavo davvero, che
finisse così.
Certo, ora non posso essere più sicuro di niente; il caos mi
ha ridotto la mente in poltiglia. I ricordi, inaffidabili, sono un turbine di
frammenti, e quelli reali che non si distinguono dalle illusioni. Ragion per
cui, riparto dall’unica certezza presente: sono fermo, bloccato, trafitto dalla
moltitudine di appendici di questo talamo ipertecnologico, che tentano di
tenermi in vita.
Subito prima stavo camminando sul pianerottolo; ma sono
consapevole che questa immediata consecuzione di tempi esiste soltanto nella
mia percezione interiore. Fra il pianerottolo del mio appartamento e questa stanza,
piena di sensori e cicalini, immersa in un’ovattata oscurità, si distendono le
pieghe di un tempo e di uno spazio non trascurabili.