Qualcosa picchiava nel buio.
Un ticchettio
ritmico, reso ovattato dall’interposizione di un notevole spessore, echeggiava
nella testa del giovane, immerso in un sonno agitato. Asterion continuava a
rigirarsi nel letto, a cui non era abituato, e la sua mente associava quei
colpi cadenzati alle immagini della serata appena trascorsa. Ora era Miss
Rebecca, a battere sul tavolo con la forchetta, cercando di infilare il cibo
che fingeva di non vedere; nella scena successiva, nell’ordine irrazionale
proposto dal sogno, era invece sua madre, che percuoteva la testa di Lord
Tompstone con uno scudiscio, facendone uscire copiosi rivoli di sangue, mentre
lui continuava a ridere fragorosamente.
Si svegliò di colpo, sollevandosi a sedere sulle coltri,
sopra le quali si era gettato ancora vestito: la stanza era immersa nel buio,
ma un largo rettangolo di luce lunare, passando attraverso la finestra,
illuminava un ampio tratto del pavimento. Non ricordava di essersi coricato, ma
era evidente che la cameriera, completato il proprio lavoro, se ne era andata
senza disturbarlo. Ancora profondamente turbato, si sforzò di mettere ordine
nel tumulto dei proprio pensieri: il breve sonno aveva contribuito a calmare la
sua eccitazione e, malgrado i numerosi motivi di apprensione, sentiva la mente
lucida e disposta al ragionamento.