Questo racconto partecipa all'ottantesima edizione del Carnevale della Matematica, ospitato da Flavio Ubaldini nel suo "Pitagora e Dintorni". Il tema è "matematica e irrazionalità". Nel nostro caso, vi proponiamo una poco credibile storia matematica, che non è né reale, né sensata (e nemmeno semplicemente irrazionale...)
Non sono sicuro dei
miei ricordi. Ad esser sincero, in quegli anni ero certo di ben poche cose: di
quella sera, fra le certezze posso enunciare molti bicchieri di vino di
Borgogna, i fianchi sodi e il seno generoso di una delle cameriere del
"Benoit", e la combriccola di perdigiorno con mi cui accompagnavo nelle
notti d’estate, da studente, a Toul. Quello però era un giorno di fine settembre:
il clima mite era già guastato dai primi rigori dell'autunno incipiente e gli
amici, dopo un numero imprecisato di andirivieni sul lungofiume, fra stornelli
lascivi e discutibili interazioni con i rari passanti, si erano decisi a
passare al caldo il resto della serata, ciascuno nel proprio letto.
Io invece avevo ancora
in corpo troppo vino per desiderare una notte tranquilla e me ne restai a
passeggio, in compagnia del gorgoglio allegro della Mosella, nel quale credevo
di intendere una qualche melodiosa suggestione. Una placida bruma aveva preso a
salire dal centro del fiume e le sue pigre volute carezzavano i canneti,
indugiavano sui rami ancora frondosi degli alberi, per poi lambire con lente
carezze la base dei lampioni sull'argine, dando ai guizzi dei lumi a petrolio un
aspetto fumoso, che doveva apparire inquieto, forse spettrale, e che a me sembrava
invece tanto struggente quanto romantico.