Il Presidente Miovsky ruotò il pomello del campo
gravimetrico con un minuscolo gesto delle dita sottili; le due eleganti
poltrone anatomiche vibrarono, mentre i giroscopi ne stabilizzavano la discesa.
In pochi istanti, il suo sedile e quello del suo ospite erano di nuovo posati
sul pavimento del salone, al centro della grande cupola di cristallo che ne
costituiva buona parte del soffitto. Al di là delle pareti invisibili, l’aurora
boreale allungava le sue dita spettrali contro il manto gelato dell’oceano di
Cerere, quattrocento chilometri più in basso.
- Spettacolo notevole, non è vero, Consigliere?
Il bicchiere di ghiaccio vetrificato dondolò nella mano del
Consigliere I’Chan e il livello del liquido ambrato al suo interno oscillò
leggermente.
- Magnifico, Presidente – concesse. - Posso dire di aver
visto ben poche cose altrettanto sbalorditive nella mia breve vita.
- Lo spazio, mio caro I’Chan, è l’unica cosa che è rimasta,
per quelli come noi.
Un gesto dell’ospite, deferente e cortese, lo indusse a
chiarire il suo pensiero. Di nuovo le dita sottili sfiorarono il bracciolo
della poltrona; le note velate di un’antica sinfonia di Debussy riempirono la
stanza, come gocce di pioggia in un tramonto d’estate.
- Chi è mosso dal vento del progresso – continuò - non può
che sospingere innanzi a sé le frontiere di questo nostro piccolo mondo. E l’unica
direzione in cui è possibile progredire, oggi giorno, conduce là fuori, oltre i
confini del Sistema Solare; non c’è niente, al di qua di quel limite, che valga
la pena di esplorare.