- Si tratta solo di una piccola superstizione; una mania
innocua, che mi concedo da sempre.
Il Campione aveva una voce flebile, che nei toni più acuti
tendeva a diventare stridente. L’addetto alla vigilanza lo squadrò di nuovo,
lasciando scorrere il suo sguardo esperto sulla figura che gli ondeggiava
davanti, incapace di mantenersi ferma nella stessa postura per più di qualche
istante.
Era molto diverso da come lo aveva immaginato; l’idea che
aveva avuto di quell’uomo, schivo e riservato, era comunque piuttosto vaga e
infarcita di stereotipi. Un campione è un
campione! si era detto il vigilante, mentre aspettava fuori dal Palazzo dei
Giochi, impettito nella sua uniforme blu scuro, la fascia con i colori
nazionali che lo costringeva a tendere i muscoli addominali. Lui era arrivato
puntuale; era sceso dalla macchina dell’organizzazione con gesti impacciati,
compiendo qualche passo corto e frettoloso, girando la testa qua e là, con fare
disorientato, come un pollo.
Non che il vigilante
fosse un appassionato di scacchi; aveva giocato da ragazzo e ricordava le
regole più importanti. A casa, da qualche parte, aveva conservato una piccola
versione economica del gioco, in legno e plastica, che non veniva usata da
anni. Non gli interessava il torneo e del Campione, prima di quell’incarico,
aveva sentito parlare soltanto per caso, come di una delle ragioni di prestigio
nazionale.
